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Uscire dalla crisi: vediamo le possibili soluzioni

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Partiamo dal presupposto che di regola gli Stati hanno sommariamente quattro strumenti essenziali per poter affrontare il proprio deficit.

Per uscire dalla crisi gli Stati possono innanzitutto utilizzare politiche di stimolo alla crescita per irrobustire le entrate; consistenti tagli alla spesa pubblica, che abbattano invece il deficit sul fronte delle uscite; l’emissione di nuova moneta da parte delle banche centrali; ed infine il ricorso al debito pubblico.

Quale politica adottare durante una crisi?

La risposta come ben sappiamo non è semplice; molti fattori dipendono oltre che dalla gravità della crisi e dalla capacità di riequilibrare autonomamente il bilancio statale, anche dall’orientamento politico dei governi e dalle politiche economiche che si intendono applicare.

In un contesto di grave ed improvvisa crisi, come quella vissuta ultimamente, pochi sono gli strumenti adottabili che effettivamente diano risultati ottimali. Per sapere di più vai a crisi 2008.

Attuare politiche di stimolo alla crescita per tentare di uscire dalla crisi risulterebbe estremamente complicato data l’impossibilità, da parte di finanze statali già in dissesto, di sostenere ingenti costi.

Per quanto concerne invece i tagli alla spesa pubblica, nel contesto di una crisi esso tenderà a ridurre ulteriormente la crescita e i consumi, rivelandosi molto spesso controproducente anche ai fini della riduzione del debito.

Il terzo strumento, ossia l’emissione di moneta da parte delle banche centrali, è pur sì attuabile, seppur con pesanti conseguenze, principalmente qualora gli Stati abbiano una propria banca centrale, ma all’interno dell’eurozona, dove la BCE deve controllare gli equilibri monetari senza poter intervenire, tale manovra risulta impraticabile.

Infine focalizzando l’attenzione sul ricorso al debito pubblico, attuabile principalmente qualora vi sia una fiducia tra gli Stati in tema di solvibilità, riscontriamo la vera variante europea della grande crisi, caratterizzata da spropositati tassi di interesse che hanno resero sempre più pesante l’indebitamento; difatti sono stati per l’appunto i numeri dello spread che hanno marcato il dramma dei PIIGS nonché ulteriori tensioni generali nell’UE. Per approfondimenti sul dramma dei PIIGS leggi anche crisi del debito sovrano e crisi economica italiana.

 

Il New Deal: la magica ricetta degli Stati Uniti per uscire dalla crisi del 1929

Con il marasma economico provocato dalla crisi non era più possibile continuare a seguire la politica liberistica del laissez faire e del laissez passer, difatti molti governanti furono costretti ad adottare radicali provvedimenti di politica economica.

I primi provvedimenti presi dai governi, tra la fine del 1929 e l’estate del 1932, non aiutarono a risolvere la situazione, anzi, in molti stati, contribuirono ad aggravare il caos. Per approfondimenti vai a crisi del 29.

Negli Stati Uniti il presidente Hoover e il partito repubblicano, non volendo impegnare le finanze federali per far fronte al dilagare della disoccupazione, lasciarono il compito agli enti locali e alle tradizionali organizzazioni di carità che però si rivelarono incapaci di risolvere tale recessione.

La mancata ripresa dell’economia portò così al potere il democratico Franklin D. Roosevelt, che nella sua campagna elettorale promise il cosiddetto programma delle “tre R” (Relief, Recovery, Reform) cioè cura, ripresa e riforma, proclamando inoltre “impegno voi, impegno me stesso, per un nuovo contratto con il popolo americano”.

Nei primi cento giorni della sua presidenza e negli anni immediatamente successivi, Roosevelt tentò perciò di far fronte alla crisi con un serie imponente di provvedimenti che anche se non inspirati a principi generali, ma dettati dalla necessità del momento, gradualmente presero forma organica e diedero vita a quella politica di interventi statali definita New Deal, che, riprendendo le teorie dell’economista John Maynard Keynes, assegnava allo Stato non solo il compito di regolare il mercato, ma anche quello di promuovere la domanda interna aumentando il potere d’acquisto delle masse popolari, sia attraverso un grandioso programma di opere pubbliche, sia in seguito all’elargizione di sussidi a disoccupati, anziani e ammalati, diretto a rimettere in moto la pompa dell’economia americana. Per sapere di più leggi Keynes.

I primi interventi adottati dal nuovo presidente furono diretti ad aiutare le banche in crisi e a dare maggiori poteri al Sistema della Riserva Federale al fine di poter meglio regolare il flusso di credito e far fronte ai bisogni finanziari degli agricoltori.

Essa prevedeva la riformazione di un mercato di consumo attraverso la spesa pubblica per sostenere gli affari privati a favore sia delle industrie produttrici di beni di consumo, sia di quelle produttrici di beni strumentali; inoltre mirava a ristabilire l’equilibrio sia tra i prezzi praticati nelle città e nelle campagne, sia fra costo di produzione e prezzo.

Per le industrie, nel giugno del 1933, fu emanato il N.I.R.A. (National Industrial Recovery Act) per rilanciare l’attività produttiva, aumentare i salari, fissare i prezzi minimi e stabilire determinate quantità di prodotti per ciascun settore, al fine di contenere la concorrenza. Tale atto ebbe però vita breve, difatti nel 1935, la Corte Suprema degli Stati Uniti lo dichiarò incostituzionale provocando un ritorno alla politica antitrust.

Nel settore monetario, invece, alla politica deflazionistica attuata da Hoover, il nuovo presidente Roosevelt contrappose la politica inflazionistica, favorita dalla crescente fuga di oro e capitali all’estero, e dalla bassa quotazione del dollaro sui mercati internazionali.

Un provvedimento importante preso a sostegno dell’inflazione, fu proprio la svalutazione della moneta, attuata in due tappe.

La prima, nell’aprile del 1933 con l’abbandono del regime aureo, stabilendo l’inconvertibilità della cartamoneta in oro.

La seconda nel gennaio del 1934 con l’emanazione del Gold Reserve Act che svalutò il dollaro quasi del 50% rispetto alla vecchia parità, generando un aumento dei prezzi di molti prodotti dell’agricoltura e delle industrie.

Nel settore del credito, nel 1933 fu emanato il Banking Act al fine di distinguere le banche commerciali, autorizzate a concedere solo crediti a breve termine, dalle banche d’investimento, autorizzate ad elargire anche crediti a lungo termine. Nello stesso anno il congresso degli Stati Uniti votò il Security Act, che mise le operazioni di borsa sotto il controllo della S.E.C. (Security and Exchange Commission) incaricata di registrare le società esistenti e quelle di nuova costituzione, nonché avente il potere di sciogliere le holdings ritenute contrarie agli interessi generali del paese.

I risultati di tale politica cominciarono ad affiorare nella seconda metà del 1935 dove l’indice della produzione industriale crebbe da 71 a 99, mentre il numero di disoccupati scese da 12,5 a 9 milioni.

Nel complesso le misure del New Deal, oltre ad aiutare il paese ad uscire dalla crisi economica, permisero agli Stati Uniti di dotarsi di un sistema di sicurezza sociale per quell’epoca abbastanza avanzato, di ridurre i pericoli di una grande crisi finanziaria con una maggiore regolamentazione dei mercati, ma soprattutto di avviare la cosiddetta “grande compressione” cioè la riduzione delle disuguaglianze economiche e sociali che si erano formate nei decenni precedenti. Potrebbe interessarti anche crisi economica.

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