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Tassa sulle multinazionali: dal G7 l’accordo sullo schema

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Una tassa sulle multinazionali minima, questa è la nuova linea stabilita al tavolo del G7. I ministri delle finanze dei sette paesi più industrializzati hanno concordato una schema quadro per la tassa. Questo sistema consentirebbe ai governi nazionali maggiori poteri per tassare le big tech e i loro grandi profitti. E anche un modo per regolamentare le modalità di tassazione di profitti delle grandi imprese internazionali. 

Un cambio di rotta storico che indica un cambio di passo nel diritto internazionale. E di conseguenza nuovi paradigmi per l’imposizione sul reddito societario. 

Tassa sulle multinazionali: cosa prevede?

Una svolta storica che potrebbe mettere fine ai percorsi agevolati per le grandi aziende, specie quelli operanti nel tech. Il riferimento è chiaramente ai giganti del business online come Google che usufruiscono di particolari regimi di vantaggio che consentono notevoli risparmi fiscali. Con la decisione presa, i ministri del G7 si impegnano a sostenere una tassa sulle multinazionali minima del 15% per i profitti generati nei paesi in cui operano.

“Ci siamo. Dopo 4 anni di battaglia un accordo storico è stato trovato con gli Stati membri del G7 sulla corporate tax minima sulle aziende e sui colossi del digitale”

Questa la dichiarazione del ministro francese delle finanze Bruno Le Maire che si aggiunge al collega inglese Rishi Sunak:

“Dopo anni di discussioni, i ministri delle Finanze del G7 hanno raggiunto un accordo storico per riformare il sistema fiscale globale per adattarlo all’era digitale globale”

Una soluzione al tanto agognato problema della “corsa al ribasso” che ha spinto molti paesi a diventare sedi privilegiate per alcuni business. Il tutto portato in essere attirando i capitali dall’estero con aliquote fiscali a dir poco risibili. Specie se rapportate alla media delle aliquote delle tasse sulle multinazionali applicate negli altri paesi dell’Unione. Dove, però, queste società operano e generano guadagni importanti. 

Un regime di esenzione che ha permetto alle grandi aziende di fare grossi risparmi. Di conseguenza, i vari paesi hanno perso centinaia di miliardi di dollari in entrate erariali. Una situazione che, con la pandemia e i suoi tragici effetti, il Gruppo dei Sette ha deciso di non tollerare più. Un’intesa raggiunta che guarda al programma del presidente USA Joe Biden che aveva già annunciato una proposta analoga per gli States.

Corporate Tax: cosa comporta

tassa sulle multinazionali
Come impatterebbe la tassa sulle multinazionali

Le trattative per giungere a una tassa sulle multinazionali erano nate in seno all’OCSE già a partire dal 2013. Ma i colloqui subirono un freno a causa del freno degli Stati Uniti che ai tempi mirava a proteggere le società tech. La svolta è stata agevolata, come detto, dal nuovo presidente Joe Biden, intenzionato a dare un nuovo impulso a questo tema.

Poi la Francia si è svincolata seguendo una propria linea introducendo una tassa sulle multinazionali digitali sui loro ricavi. Per questo motivo il cambio di passo stabilito oggi dal G7 porta al tema spinoso della fuga di capitali. Infatti, non sono pochi i timori di una fuga generalizzata delle aziende in grado di migrare verso destinazioni fiscali più favorevoli. Pertanto, le immediate ricadute si avrebbero in occupazione e indotto che la partenza di queste aziende comporterebbe. Dall’altro lato della medaglia, l’impossibilità da parte di alcuni business di rinunciare a determinate quote di mercato.

Una cosa è certa, questa intesa cambia il paradigma fin qui mantenuto in decenni di consuetudine nel diritto internazionale (specie quello commerciale).

In questo link potete trovare lo studio che misura l’impatto della tassa sulle multinazionali nei diversi paesi: Corporate Income Tax Rates in Europe.


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