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Taiwan: l’isola dei chip e la tensione tra Cina e USA

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Il mondo sposta di nuovo la sua attenzione sul fronte asiatico, dove continua una sorta di “soft guerra fredda” tra Stati Uniti e Cina. E Taiwan, con la sua particolare storia, è al centro di questo nuovo episodio. Per la prima volta, un’esponente del governo americano si è recato in visita ufficiale sull’isola cinese, suscitando le ire di Pechino che ha risposto con una serie di imponenti esercitazioni militari. E in ballo, ovviamente, la non meglio dichiarata guerra dei semiconduttori dai quali dipende il futuro (e il presente) dell’industria.

Taiwan: tensione tra Cina e Stati Uniti

Non si placa la tensione dopo la visita della speaker della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi a Taiwan. L’isola, nota sia come Repubblica di Cina o Taipei, fa formalmente parte della Cina continentale (Repubblica Popolare Cinese e relativo governo) ma de facto ha un governo a sè stante. Un po’ sulla scia della formula “un paese due sistemi” che è stata utilizzata con Hong Kong e Macao. E questo è il principale motivo del nervosismo cinese, che da decenni aspetta di riammettere Taiwan al suo controllo (avrebbero fissato come data limite il 2049). Ed è anche la ragione per cui non è riconosciuta dalla comunità internazionale (a parte 13 stati, tra cui il Vaticano) anche se gode di tutto l’appoggio occidentale. E la ragione non è solo territoriale o politica (che già basterebbe a comprendere il perché di tanto astio tra le due entità).

Tuttavia, sono proprio gli Stati Uniti e i suoi alleati nel pacifico a cui sta molto a cuore questa situazione (e che resti così). Ed è il motivo per cui dal secondo dopoguerra gli USA vendono armi e sostengono i taiwanesi.

“Non è una difesa della democrazia e della libertà, ma una provocazione e una violazione della sovranità e dell’integrità territoriale della Cina” come dichiarato da Ma Xiaoguang, portavoce dell’Ufficio per gli affari di Taiwan del governo di Pechino.

La visita ufficiale della Pelosi, pertanto, rappresenta un gesto grave per Pechino che deve gestire questo controverso status di Taiwan. Ma come anticipato, non è solo una questione geopolitica o diplomatica. Ci sono, e anche tante, ragioni economiche per cui l’Isola è al centro della scena. Una tra tutte: la produzione di semiconduttori e chip.

La guerra dei chip

Uno degli incontri che sottolinea l’importanza del ruolo commerciale di Taiwan è quello avvenuto tra la pelosi e Mark Liu (presidente di TSMC). L’azienda è il leader mondiale della produzione di semiconduttori, con clienti che vanno da Apple a Nvidia passando per le case automobilistiche. TSMC è, in sostanza, una fonderia che realizza chip su richiesta dei produttori e fornisce la quasi totalità dei chip sul mercato. Proprio questi piccolissimi pezzi di silicio sono al centro della nuova “guerra commerciale”, visto il loro impiego nella produzione di smartphone, elettrodomestici, auto, pc e tutto ciò che è elettronico.

Quindi, sono importantissimi per gli Stati Uniti (passati da produttori a importatori) e per il resto del mondo, Europa compresa. Infatti, nonostante il mito della Silicon Valley (nata proprio per questo motivo), il colosso americano adesso dipende dalle importazioni per sostenere la domanda. E TSMC è una delle poche aziende in grado di produrre microchip e semiconduttori all’avanguardia per tutte le necessità industriali. Da sola, produce il 54% della domanda globale confermando la supremazia cinese (e asiatica in generale) sul settore. Se consideriamo anche il 15% di quota mercato detenuto dalla coreana Samsung. Tuttavia, questo è anche reso possibile dalle tecnologie e il know how “importato” da Stati Uniti e Europa.

taiwan

Effetti sui mercati

Le esercitazioni militari cinesi al largo di Taiwan, con un grande sfoggio di potenza bellica, non sembrano aver sconvolto i mercati quanto i governi. Infatti, l’indice cinese Hang Seng Tech è salito del 2,21% nella scorsa seduta, seguito dal Nikkei (+0,7%) e la borsa di Hong Kong (+1,73%). L’evoluzione degli eventi e l’importante posta in gioco potrebbero rapidamente cambiare come l’esperienza insegna. Una nuova crisi che avrebbe ripercussioni realmente su scala mondiale visto che i soggetti coinvolti, oltre Cina e Stati Uniti, sono anche i paesi del pacifico. E tra questi Giappone, Corea del Sud, Australia e delle varie nazioni legate all’uno o all’altro blocco. Di certo, la crisi di Taiwan influenzerebbe in maniera diretta l’economia, ancora scossa pandemia e crisi Ucraina, oltre al possibile collasso della catena di fornitura di semiconduttori. Con risultati (negativi) facilmente immaginabili su scala globale.


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