Riforma Prescrizione: dal 1° gennaio di quest’anno, all’interno della legge “Spazzacorrotti” fortemente voluta dal M5S, è stata riformata la disciplina sulla prescrizione.
Una norma che ha diviso e continua a dividere il mondo per ovvie motivazioni e ragioni. L’intento della riforma dell’istituto è evitare che i reati cadano in prescrizione a causa dei lunghi tempi della legge. Ecco cosa comporta la nuova riforma della prescrizione.
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Riforma Prescrizione: cos’è la disciplina e come funziona?
La prescrizione è quell’istituto del nostro ordinamento che ricollega al decorso del tempo dei particolari effetti giuridici. Per il diritto penale, ma anche per il diritto civile e altre categorie, è quella che determina l’estinzione del reato.
Per la scienza penale, e soprattutto in una prospettiva più ampia di diritti costituzionali, si ricollega all’esigenze di giustizia sia per l’imputato che per la collettività.
Infatti, per sua natura, la prescrizione è finalizzata a garantire una ragionevole e proporzionale durata dell’azione penale stabilendo un limite temporale. Il fine è quello di prevenire l’inopportunità di un esercizio prolungato e deleterio dell’azione punitiva.
Una prospettiva che ormai è pacificamente accettata da tutte le correnti della scienza penalistica.
In quesa prospettiva il decorso del tempo indica l’estinzione del reato sulla base del venir meno l’esigenza dell’applicazione di una sanzione punitiva. Il motivo per cui si affievolisce l’esigenza di prevenzione generale di prevenzione dei reati ritenendo inutile la funzione della pena. Infatti, l’efficacia della funzione generale di prevenzione, con la relativa efficacia intimidatoria, dipende dalla sanzione corrisposta alla violazione. Quindi, ne deriva la necessità di una certa e rapida applicazione. Pertanto, non può ritenersi idonea a soddisfare queste funzioni qualora ciò avvenisse ad anni di distanza dalla commissione del reato.
Rammentiamo che, nel nostro ordinamento, la prescrizione penale non si applica mai nei reati in cui la pena prevista è quella dell’ergastolo.
Come si calcola la prescrizione
Partiamo dal presupposto che a differenza della prescrizione civile, nel caso del diritto penale essa non si blocca nel momento in cui il reato viene a conoscenza dell’autorità. Infatti, inizia a decorrere dal momento esatto nel quale il reato è stato commesso fino a sentenza definitiva.
La riforma prescrizione ha introdotto sostanziali novità al calcolo della stessa. La prescrizione reati, nell’ottica generale, è ricondotta all’art. 158 del codice penale. Nella definizione data dalla norma va tenuto conto della distinzione tra reato consumato, reato tentato e reato permanente.
Nel caso del reato consumato, il termine decorre dal compimento. Per il reato tentato coincide con il giorno in cui è cessata l’attività del reo. Per il reato permanente inizia dal momento in cui è cessata.
Vi sono poi i casi in cui il decorso inizia a considerarsi dal verificarsi di una condizione determinata. Inoltre, vi sono casi in cui la prescrizione può essere interrotta o sospesa.
Quindi, la norma vuole che il reato si prescriva quando sia decorso il tempo che corrisponde al massimo della pena stabilita dalla legge.
La riforma prescrizione targata Bonafede
La nuova legge fortemente sostenuta dal M5S e dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha rivoluzionato quanto fin qui detto. Nonostante il duro scontro politico, e la disapprovazione del mondo accademico e professionale, il rigido provvedimento è entrato in vigore.
L’intento della nuova norma è quello di contrastare la lentezza dei procedimenti giudiziari che portano in molti casi alla prescrizione dei reati. Tuttavia, tra i suoi detrattori c’è chi insiste, giustamente, su una più ampia riforma della giustizia. Riforma che deve accompagnarsi ad un impulso nuovo anche negli uffici giudiziari, estremamente carenti di personale.
La legge introduce novità che riformano le attuali disposizioni del codice penale così come modificati dall’ultima legge Cirielli (la n. 251 del 2005).
Infatti, con la nuova riforma sulla prescrizione, una volta emessa una sentenza di primo grado, che sia di condanna o di assoluzione, avviene il blocco totale. In sostanza, da questo momento in poi lo stato ha un termine indefinito per giungere ad una sentenza definitiva.
Si può quindi immaginare il motivo delle perplessità, stante le intenzioni politiche che l’hanno ispirata. Coniugare l’esigenza di certezza della pena e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria, non può pregiudicare i diritti dell’imputato. Una situazione che, alla luce dei valori costituzionali, non lascerà certo un proseguo sereno di questo nuovo corso.