Oggi la vostra identità viene venduta in cambio di denaro.
Ecco come i dati degli utenti diventano un bene prezioso per le aziende di marketing.
Una premessa
Sono al PC. Sto cercando un paio di scarpe per un meeting importante della prossima settimana. Lo trovo, riempio i campi, lascio i miei dati, spunto le caselline e acquisto. Perfetto. Da quel momento in poi ho delegato la gestione dei miei dati personali ad una company.
Purtroppo, però, quello che il consumatore stenta a capire è che la maggior parte dei commercianti condivide queste informazioni con una fitta rete di inserzionisti e pubblicità,società di marketing e altri partner.
Generalmente il gioco funziona allo stesso modo: la grande azienda, dalla quale ho acquistato, trasmette i miei dati ad una serie di piccole società, perlopiù sconosciute, ad essa legate.
Cosa ci fanno?
In pochi hanno un’effettiva contezza di ciò che viene fatto con i dati degli utenti. Infatti nel mese di maggio l’Unione Europea emanerà, obbligatoriamente, un regolamento generale sulla protezione dei dati. Questo significa che le aziende dovranno specificare in maniera più approfondita l’utilizzo della propria banca dati. In realtà il grande business sta nel costruire i nostri profili on line. Lo scopo è quello di sapere che marche indossate, cosa mangiate, di cosa siete appassionati e quali sono i vostri interessi. Da li i vostri dati serviranno a targhettizzare il vostro profilo on line e quindi ad indirizzarvi delle pubblicità mirate mentre navigate.
Questi profili vengono ulteriormente finalizzati con altre informazioni recuperate dai social media, dalle app del proprio cellulare e altri componenti telematici. L’Unione Europea ha detto STOP. Le richieste di consenso per il trattamento dei dati personali dovranno essere più chiare.
Grossi problemi per le imprese
Da Maggio, dunque, le imprese dovranno scontrarsi con queste nuove disposizioni. Esse si vedranno costrette ad eseguire degli esercizi di mappatura, volti a rivelare agli organi di controllo dove finiscono i dati dei propri clienti. Le aziende più grandi si stanno già adeguando, con la nomina di dirigenti responsabili della protezione dei dati. Ma il problema sta nelle piccole realtà imprenditoriali. Queste non sarebbero assolutamente pronte a queste nuove normative, soprattutto su questioni come trasparenza e consenso.
Tra le varie cose le imprese temono una rivolta da parte degli utenti. Se infatti questo gioco, che per anni ha retto nel mondo del commercio on line, venisse allo scoperto, gli utenti potrebbero incazzarsi di brutto, e farebbero bene. Il nuovo millennio, caratterizzato dalla spersonalizzazione dell’individuo, ha reso gli uomini dei semplici “utenti”. La parola “persona” non esiste più, ma lascia spazio alla definizione “surfer”, che è il termine per indicare colui che naviga nel mare del web. Ed è in questo contesto che l’UE ha deciso di stringere la cinghia con tutte le conseguenze del caso. Vi terremo aggiornati.