I prezzi del petrolio continuano a salire mentre a Washington si ipotizzano deroghe alle sanzioni iraniane. Gli scenari da tenere bene a mente.
Lo spettro delle sanzioni iraniane produce i suoi primi effetti, di pari passo con le diminuzioni delle esportazioni.
Il Brent si è spinto ben oltre gli 85$ al barile, una delle punte massime degli ultimi anni, mentre il WTI si è adagiato sui 75$.
Un rally dei prezzi del petrolio mantenuto possibile nonostante la crisi che ha colpito dei maggiori produttori. Anche dopo che mercoledì il Fondo Monetario Internazionali ha mantenuto basse le stime di crescita per il 2019.
Inoltre l’OPEC ha tenuto saldi i ritmi delle forniture anche a seguito dei problemi con l’Iran.
NON SOLO TEHERAN
Dal 4 novembre prenderanno il via le sanzioni, anche se dalla Casa Bianca trapelano alcune indiscrezioni in merito a possibili deroghe.
Gli effetti hanno già avuto pesanti ripercussioni per il bilancio iraniano, la cui produzione è scesa dai 2,5 milioni di bpd di aprile agli attuali 1 milione. Le pressioni di Donald Trump hanno spinto via via i maggiori importatori a cercare altrove approvvigionamenti, nonostante le forte proteste iraniane. Infatti, per Teheran l’accordo sul nucleare del 2015 stipulato con altre 5 potenze mondiali sarebbe stato rispettato.
Arabia Saudita e Russia hanno più volte ribadito di essere pronte a rimpiazzare l’ammanco di fornitura. Il regno, in particolare, è pronto a portare la sua produzione a ben 10,7 milioni bpd. Compito fondamentale dato che anche il Venezuela è ancora in una fase critica per la sua economia e la relativa produzione di greggio.
MICHAEL
L’arrivo dell’uragano Michael vicino le coste della Florida ha innescato un dimezzamento delle produzioni nel Golfo del Messico. L’arrivo della tempesta ha generato non poche preoccupazioni nonostante si possa escludere l’impatto sugli impianti. Fattore che ha contribuito a tenere su la quotazione.
Gli effetti delle guerre commerciali in corso continuano a generare confusione. La domanda di petrolio dovrebbe continuare a mantenersi e l’alto valore del dollaro contribuisce a mascherare gli effetti dell’alto prezzo.
Alto prezzo che per il ministro dell’energia russo Alexander Novak non è qualcosa che può piacere a lungo ai produttori. Come dichiarato in un’intervista ad una emittente russa “in teoria è vero che più i prezzi del petrolio sono alti, meglio è per i paesi esportatori”, tuttavia “se i prezzi sono troppo alti la domanda potrebbe diminuire e diventerebbe non redditizia per i produttori come il nostro paese, non per i consumatori”.
Questo perché la richiesta mondiale di greggio è, attualmente, in continua crescita ma rischia di subire una forte contrazione se il prezzo dovesse scoraggiarla.
E’, infatti, ovvio che questo porterebbe i paesi più industrializzati a preferire fonti di energia alternativa.
Restiamo, come sempre, di verificare gli effetti a lungo termine e, soprattutto, quali somme tirerà l’OPEC + in vista del prossimo meeting del 6 dicembre. Spetta all’organizzazione e adesso anche agli Stati Uniti delineare gli assetti e il destino del petrolio.