La storia di Michael Burry non ha bisogno di molte presentazioni.
Si tratta di un uomo da cui è stato tratto un film, “The Big Short” premiato anche con un Oscar.
Nonostante la ribalta, il successo e la storia alle spalle Michael Burry, in questi anni, ha sempre tenuto un profilo molto anonimo. Infatti il protagonista di “The Big Short” ha rilasciato un’intervista a Bloomberg alla fine del 2019.
All’interno di questa intervista Michael Burry ha avuto modo di dire la sua su tutto il sistema economico e finanziario della nostra contemporaneità.
Qui si va oltre i CDO e i prestiti ipotecari subprime. Qui si parla di contemporaneità, di borse americane e di grandi opportunità che risiede nei titoli a bassa capitalizzazione.
All’interno di quell’intervista Michael Burry aveva avuto modo di parlare di tanti aspetti dell’economia globale, ovvero della politica delle banche centrali del pianeta.
Ha anche definito una “bolla” tutti gli investimenti passivi.
Indice
Michael Burry avrà di nuovo ragione?
Secondo quanto afferma Burry le recenti misure di stimolo introdotte sul mercato nei fondi indicizzati, potrebbe essere paragonato a quanto è accaduto prima dello scoppio della bolla del 2008, con le obbligazioni di debito garantite.
All’epoca il sistema finanziario globale stava per sparire per sempre. Ed è li che nasce la storia di Michael Burry. Infatti in quell’occasione ebbe la lungimiranza di investire contro le CDO, prima dello scoppio della crisi.
Cosa sono le CDO e perché Michael Burry ci ha fatto i soldi?
Con CDO si intende Collateralized debt obligation. Nella realtà dei fatti è un’obbligazione. La cosa che la rende differente da un’obbligazione classica, però, è che una CDO ha come garanzia collaterale un debito. La CDO si compone a sua volta da centinaia di ABS.
Le ABS sono obbligazioni che, a loro volta, sono garantite da un altrettanto numero di debiti individuali. Ad oggi le CDO sono ritenute le prime responsabili per lo scoppio della crisi dei subprime.
Cosa accadde a Michael Burry?
Fece una fortuna. Semplice. E nel settembre dello scorso anno è tornato a parlare di finanza distorta a causa degli afflussi nei fondi indicizzati.
A suo dire questo modus operandi altererebbe il valore si obbligazioni e azioni nello stesso modo in cui, prima del 2008, i CDO avevano fatto con i mutui subprime.
Nell’intervista afferma chiaramente che i flussi, prima o dopo, sono destinati ad invertirsi e quando questo accadrà “sarà brutto”.
Secondo Burry siamo in piena bolla, e come ogni bolla: più dura e più grave sarà il crollo. Da qui nasce questa Big Short Theory 2.0.
Ma la domanda è: accadrà nel 2020?
A questa domanda risponderemo tra pochissimo, ma prima è necessario approfondire meglio alcuni concetti.
Michael Burry non è di certo il primo arrivato. Si tratta di un uomo che supervisiona un capitale di 340 milioni di dollari alla Scion Asset Management a Cupertino, in California.
Basta questo già per farci capire per quale motivo Michael Burry adori le azioni a valore ridotto. A suo avviso sarebbero sottorappresentate e quindi potrebbero rappresentare delle ghiotte opportunità di investimento.
Vediamo nel dettaglio il pensiero di Michael Burry su alcune questioni importanti.
Il Rischio di liquidità secondo Michael Burry
Secondo Burry:
“Lo sporco segreto dei fondi passivi di indici – sia aperti che chiusi, o ETF – è la distribuzione del valore del dollaro giornaliero scambiato tra i titoli all’interno degli indici che imitano.
Burry spiega che l’indice Russell 2000 ha al suo interno la maggior parte di azioni costituita da volumi più bassi. Ci si riferisce alle azioni con un valore inferiore.
Secondo Burry ci sono più di mille azioni che scambiano meno di $ 5 milioni di valore durante il giorno. Su 456 titoli gli scambi non hanno superato il milione di dollari per titolo.
Dove sarebbe, quindi, il problema?
Il problema starebbe nell’indicizzazione degli investimenti passivi. In strumenti come gli indici ci sono collegati investimenti passivi per miliardi di dollari. E non funziona diversamente per tutti gli altri indici come S&P 500. Infatti si tratta dell’indice che detiene, al suo interno, le aziende più performanti del pianeta. Ma i dati dicono altro. Più di 266 titoli vengono scambiati per un valore inferiore ai 150$ di dollari al giorno.
Sarebbero, quindi, trilioni i dollari legati a questi titoli di cui tanto sentiamo parlare. A suo avviso, poi, più si entra nella finanza reale, ossia le azioni e le obbligazioni in se e per se, meno sarà la liquidità a disposizione.
Guai all’orizzonte?
Secondo Burry si. Infatti è proprio qui che vede l’assonanza con quanto accaduto nel 2008. Una sorta di economia dopata. Un evento che potrebbe ripetersi vedendo le borse più importanti del pianeta crollare.
L’errore sarebbe appunto quello di commerciare i prodotti passivi indicizzati, ossia quelli che replicano il valore effettivo dell’azione stessa.
A suo avviso più tempo passa e peggio sarà. L’impossibilità di pianificare delle strategie potrebbe esporre a forti rischi chi oggi detiene investimenti passivi in campo.
Il Big Short accadrà nel 2020?
Burry ha detto di non avere una linea temporale definita, ma che più a lungo si gonfierà la bolla, più gravi saranno le conseguenze.
Michael Burry: una scommessa sul Giappone
Burry, attualmente, ha posto una grande scommessa sul Giappone. Il suo Scion Asset Management ha deciso di puntare su una convinzione chiara: i prezzi dei titoli giapponesi sono in linea con la realtà.
Questo interesse per il Giappone ha portato ad incamerare titoli di varia specie. Il portafoglio consiste, infatti, di titoli di aziende che producono montagne russe (Sansei Technologies) piuttosto che ai mattoni refrattari per i forni elettronici o tutti gli attrezzi necessari per creare i semiconduttori (Tazmo).
C’è un dilemma però
Michael Burry deve fare i conti con uno dei più grandi enigmi di questo tempo. Infatti il mercato azionario in Giappone è pervaso da società con ingenti somme di liquidi e beni materiali. Il problema è che molte di queste scambiano al di sotto del valore contabile.
Infatti in Giappone non si tende ad identificare i titoli di valore. L’idea è quella di identificare i catalizzatori per riconoscere il valore. Per tanti anni questo è sembrato inutile. Nella realtà dei fatti, però, le aziende identificate in questo paniere sembrano essere promettenti.
Se partiamo dal presupposto che il valore di una strategia è dovuto ad un rilancio possiamo ben capire come questo tipo di investimento sia lungimirante.
Il pensiero di Nicholas Smith
Nicholas Smith, uno dei principali strateghi giapponesi in ambito di intermediazione, ha avuto modo di presentare un’altra visione dei fatti.
Secondo lui molte delle azioni di valore del Giappone sono esposte in maniera pericolosa a due grandi fattori:
- il potenziale taglio dei tassi di interesse da parte della BoJ
- un imminente aumento delle tasse
Secondo Smith bisogna considerare che i due terzi della capitalizzazione del mercato azionario che negozia al di sotto della metà del suo valore contabile in Giappone è costituito da banche. Sappiamo bene che un taglio dei tassi di interesse non favorisce il sistema bancario. Quindi, a suo avviso, non ci sarebbe da essere così sicuri.
Le performance di queste banche, infatti, sono ormai da tempo offuscate dai tassi di interesse giapponesi che, ricordiamo sono negativi. Un’altro problema è che parecchie di queste banche rischiano di chiudere per mancanza di domanda per via della loro allocazione geografica. Si trovano, infatti, nelle zone più sperdute del paese.
Secondo Smith non esiste un modello economico da poter consultare per capire cosa sta succedendo. A suo avviso, però, sembra che le azioni di “valore”, come quelle in cui ha investito Burry, inizino a performare nei periodi di media inflazione, bassa crescita e basso rendimento: proprio le condizioni che ci sono oggi sul mercato.
Gli investimenti di Michael Burry oggi
Esaminando il portafoglio azionario di Burry possiamo dire che, ad oggi, la profezia legata ai titoli azionari Giapponesi non sembra aver dato chissà quali grandi guadagni. Vero è che di tempo ne è passato poco e siamo solo all’inizio dell’anno, ma tirare le somme è d’obbligo.
Tazmo, allo stato attuale, scambia agli stessi livelli del mese di settembre del 2019. La Sansei Technologies è, addirittura sotto di 150 Yen da quando Burry ha parlato del suo investimento.
Crollo mercati 2020: che probabilità c’è?
Prendiamo in esame la pendenza della curva dei rendimenti, o “term spread” se preferite. Grazie a questo strumento calcoliamo la possibilità di una forte recessione negli Stati Uniti d’America. In questo caso definiremo la curva dei rendimenti tra i tassi del Tesoro a 10 anni e a 3 mesi.
Se andiamo a vedere il grafico noteremo come per il 2020 vi sia una elevata probabilità che entro il mese d’ottobre vi sarà il 29% di possibilità che inizi una recessione. In genere, guardando alla storia, quando la percentuale ha raggiunto il 30% la recessione è difatti cominciata. La conseguenza sarebbe, dunque, un forte ribasso dei mercati. Faccio notare come il tutto sia in concomitanza con i risultati delle elezioni americane e delle vicende del presidente Trump.
Il “Buffett Indicator” su un possibile crollo dei mercati nel 2020
Nel 2001 Buffet ha lanciato un suo indicatore che ha lo scopo di creare un rapporto tra la capitalizzazione dei mercati finanziari e il prodotto interno lordo sempre relativo agli Stati Uniti.
Secondo Buffet è uno dei modi migliori per poter valutare i mercati in maniera oggettiva per non farsi scappare delle opportunità di investimento che potrebbero rivelarsi importanti.
Il problema cardine è che questo indicatore non possiede i dati antecedenti al 1947 perché di difficile reperimento. Come vediamo in questa foto potete vedere cosa è accaduto ogni volta che l’indicatore ha raggiunto questa soglia.
Conclusione e crollo mercati 2020
Alla fine Michael Burry avrà ragione? Gli indicatori sembrano essere dalla sua parte per ciò che riguarda un imminente crollo degli indici statunitensi. Gli indicatori sembrano confermare questo forte ribasso o crollo dei mercati.
I suggerimenti che possiamo dare sono quelli di monitorare attentamente tutti i punti di supporto e di resistenza nel breve e medio periodo.
Assieme alla gestione del rischio e al money management sarà necessario prestare attenzione ai fondamentali anche per evitare di rimanere ingabbiati in posizioni contro trend.
La cosa determinante sarà tenere sott’occhio i fondamentali soprattutto legati a 3 importanti focolai:
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L’Impeachment di Trump
L’impeachment potrebbe essere un problema. Terminare in anticipo la presidenza di Donald Trump potrebbe comportare delle conseguenze non indifferenti. Infatti con l’elezione del Presidente il dollaro si è rafforzato considerevolmente per via della politica accomodante della FED che Trump ha imposto.
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L’elezione del Presidente USA
La grande incognita risiede sempre nell’Impeachment. Arriverà o non arriverà? Se Trump non sarà sottoposto ad impeachment significa che potrà ricandidarsi e fare un secondo mandato: secondo le sue politiche protezioniste è probabile che il crollo sarà rinviato.
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La Politica Monetaria della FED
Ma se il successore di Trump dovesse essere un Democratico, la FED potrebbe andare incontro ad un rialzo dei tassi di interesse con una conseguente correzione sul mercato azionario. Il tutto, chiaramente, sarà strettamente legato ai target inflazionistici che la FED deve raggiungere.
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