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Leggi Fascistissime: quando il Fascismo divenne dittatura

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Le Leggi Fascistissime sono entrate in vigore a cavallo tra il 1925 e il 1926. Il processo di trasformazione avrà altre due importanti tappe: il 1928 e il 1939. In questa pubblicazione cercheremo di comprendere meglio il contenuto e le implicazioni che le leggi fascistissime, fortemente volute da Mussolini, introdussero nella nostra Nazione agli esordi del ventennio.

  • Come ha potuto un movimento politico appena approdato in Parlamento trasformarsi in una delle più grandi dittature della Storia?
  • Quali leggi si sono modificate nel nostro ordinamento giuridico per permettere a Mussolini di diventare un Dittatore?
  • Cosa pensava la dottrina del tempo?

Proviamo a dare una risposta.

Leggi Fascistissime sintesi: cosa sono?

Si tratta di una serie di norme giuridiche emanate nel corso del ventennio fascista che avevano degli scopi ben precisi. Primo tra tutti quello di modificare strutturalmente l’ordinamento per meglio adeguarlo alle ambizioni fasciste.

In particolare:

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DIVENTA CAPO DEL GOVERNO E IL
POTERE ESECUTIVO SI RISERVA LA FACOLTÀ DI EMANARE NORME GIURIDICHE

La legge del 24 dicembre del 1925 n. 2263 sulle attribuzioni e prerogative del Capo del Governo assieme a quella del 31 gennaio 1926 n. 100 sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche

SI ABOLISCE LA LIBERTÀ DI STAMPA E IL DIRITTO ALLO SCIOPERO.

Entrata in vigore nello stesso identico periodo, il 20 gennaio 1926 si introduce la legge sulla stampa la n. 207 del 31 dicembre 1925. La legge rivoluzionava il concetto di giornalismo visto che con la nuova legge fascistissima il Procuratore Generale della Corte da’Appello doveva autorizzare e riconoscere l direttore generale. In sintesi, e per chiarire questo concetto viene in supporto il regolamento dell’11 marzo del 1926, il Procuratore Generale, raccolta l’istanza, avrebbe dovuto consultarsi con il Prefetto di riferimento.

Così facendo si evitava di avere dei periodici diretti da oppositori al fascismo e al governo. Sempre nel 1926, il 3 aprile, con la legge numero 563, viene proibito lo sciopero, introducendo i contratti collettivi che adesso potevano essere stipulati solo e soltanto dagli unici sindacati rimasti in attività: quelli fascisti. Il monopolio della rappresentanza sindacale era la sintesi di quanto stabilito col Patto di Palazzo Vidoni, il 2 ottobre del 1925. 

Nel 1927 viene creata l’OVRA (Opera Volontaria di Repressione Antifascista oppure Organizzazione di Vigilanza e Repressione dell’Antifascismo, o ancora Organo di Vigilanza dei Reati Antistatali). Si tratta di una polizia segreta fascista attiva dal ’27 al ’43 in Italia, e successivamente nella Repubblica Sociale Italiana, dal ’43 al ’45.

LA COSTITUZIONALIZZAZIONE DEL GRAN CONSIGLIO E LA
FASCISTIZZAZIONE DELLO STATO.  

L’ultima legge fascistissima è la n. 2693/1928. Con questa ultima legge veniva completata l’opera di fascistizzazione dello stato. Il Gran Consiglio del Fascismo diveniva autorità suprema del Regno d’Italia. Per completare questo processo era necessario modificare la legge elettorale della Camera dei Deputati. La modifica arriva il 17 maggio 1928 con la legge n. 1019. Con la legge Elettorale 1928 si prevedeva un listone nazionale bloccato per portare alla nomina dei 409 candidati. Il listone di nomi, in blocco, era scelto proprio dal Gran Consiglio del Fascismo. Al popolo non restava che approvare o non approvare.

Si parla di elezioni con carattere plebiscitario. Anche se non si può fare riferimento alle leggi fascistissime propriamente dette, è fondamentale dire che la legge 129 del 1939 si modifica lo Statuto Albertino, costituzione flessibile, sopprimendo costituzionalmente la Camera dei Deputati e istituendo la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, interamente nominata dalle Corporazioni Fasciste e dal Gran Consiglio del Fascismo. 

In sintesi

Queste norme nascevano con lo scopo di adeguare la struttura dell’ordinamento alle aspirazioni autoritarie del partito fascista e alle esigenze autocratiche del proprio leader.

Il primo di questi provvedimenti garantiva la preminenza del “Capo del Governo, Primo Ministro e Segretario di Stato” riconoscendo poteri e prerogative estranei alla prassi parlamentare seguita fino al 1922. Fino ad allora il Presidente del Consiglio era un primus inter pares senza mai riconoscere formalmente un ruolo di preminenza.

leggi fascistissime
Benito Mussolini appena convocato dal Re Vittorio Emanuele III dopo la Marcia su Roma. Assieme a lui i quadriumviri: Emilio De Bono, Italo Balbo e Cesare Maria De Vecchi. La foto risale al 30 ottobre, giorno dell’arrivo del Duce a Roma.

Leggi Fascistissime diritto: il Capo del Governo è superiore gerarchico

Il Capo del Governo diventava ora un superiore gerarchico, nominando e revocando i Ministri su sua proposta per mano del re e ritenendoli responsabili delle proprie azioni:

  • verso il sovrano
  • verso il Presidente del Consiglio stesso.

Il Capo del Governo poteva personalmente assumere più dicasteri delegando al sottosegretario di Stato (da lui dipendente) parte delle competenze di uno o più ministeri.

La legge stabiliva l’estromissione totale delle Camere da ogni controllo sull’esecutivo escludendo la possibilità della mozione di sfiducia per sanzionare eventuali comportamenti scorretti del ministero, adesso revocabile solo dal re.

Ora: subordinando il potere legislativo a quello esecutivo si attribuiva al Capo del Governo la facoltà di determinare l’ordine del giorno delle Camere conferendo la possibilità di riesame da parte del Ministero in caso di rigetto delle assemblee entro un termine di tre mesi.

Alcuni poteri speciali

Al potere dell’esecutivo si affiancava la possibilità per lo stesso di emanare norme giuridiche. Questa legge appariva finalizzata allo scopo di normalizzare la prassi tipica dell’era liberale che aveva permesso ai ministeri di quell’epoca di emanare decreti legge e regolamenti senza eccessive cautele giuridiche.

Ma ora si trattava di un provvedimento permanente. Fu Rocco l’ideatore di tale norma. Egli intendeva quindi affermare l’assoluta preminenza del Governo sul Parlamento, destinata a caratterizzare tutto il regime. 

Il potere regolamentare del Governo era esteso al massimo, attribuendogli la facoltà di emanare con semplice decreto reale le norme giuridiche per disciplinare:

  • l’organizzazione
  • il funzionamento delle amministrazioni dello Stato
  • l’ordinamento del personale ad esse addetto.

Estendeva la possibilità per il Governo di ricorrere all’esercizio straordinario del potere legislativo, cioè del potere di emanare norme giuridiche in concorrenza con quelle emanate dal Parlamento, sotto forma sia di decreto legislativo che di decreto legge basato sullo stato di necessità.

Il termine per la conversione dei decreti legge da parte delle Camere era fissato in ben due anni e solo il Governo restava arbitro per giudicare della necessità e urgenza della propria emanazione, mentre le camere non potevano più neanche determinare il proprio ordine del giorno senza l’autorizzazione del Governo. 

Leggi Mussolini: perché si arriva alla dittatura?

leggi fasciste pena di mortePer lo stesso motivo per cui Mussolini era arrivato al potere. Il Parlamento non aveva possibilità di offrire al paese delle alternative politiche o di esprimere forti voci di opposizione.

Gli aventiniani, ad esempio, favorirono l’opera legislativa del fascismo, non ostacolando in alcun modo il lavoro legislativo intrapreso.

L’allontanamento di parte delle minoranze dalle Camere era sgradito. Per questo motivo il Governo, il 9 novembre del 1926 ne fece dichiarare la decadenza con un atto illegittimo.

L’estromissione degli aventiniani dal Parlamento

Il fascismo estrometteva così gli aventiniani dal Parlamento privandoli delle immunità (tali deputati erano stati regolarmente eletti nel 1924). Si estromettevano anche i comunisti che, è bene ricordare, non avevano partecipato all’Aventino. Il regime voleva quindi liquidare tutte le forze di opposizione tagliando le minoranze in Parlamento senza che l’opinione pubblica potesse più reagire. In tutto ciò si cercava di dare l’apparenza di unanimità di consensi attorno a questa condotta.

Le Leggi Fasciste e le conseguenze devastanti

Con la liquidazione delle opposizioni si andò incontro alla soppressione dei partiti e alla repressione delle loro attività. I liberali che testimoniavano dissenso alla Camera e al Senato, ormai, non avevano più basi nel paese. 

Con l’eliminazione dei partiti, poi codificata dal diritto, spariva l’ultimo barlume del sistema parlamentare. La sua essenza risiedeva nella pluralità delle formazioni politiche. In un regime a partito unico era impossibile sostenere un controllo sull’esecutivo e di una responsabilità politica del governo verso le camere stesse. Il partito era quindi indissolubilmente legato al governo.

In questo quadro illiberale non si poteva neanche parlare di ritorno alla forma monarchico costituzionale più volte sollecitata dai più ferventi conservatori. Quella formula postulava il mantenimento della separazione dei poteri, perché con l’attribuzione del potere legislativo alle Camere si subordinava, in maniera diretta, il Ministero al Sovrano.

Il regime fascista confondeva i pubblici poteri e faceva del governo il fulcro del sistema senza renderlo dipendente dalla corona, anzi rafforzandone l’autorità e il prestigio anche nei confronti della dinastia stessa.

Il Gran Consiglio del Fascismo: cos’è?

Il 9 dicembre del 1928 venne costituzionalizzato il Gran Consiglio del Fascismo con la legge n. 2693 e successiva del 14 dicembre del ’29 n. 2099. Il Consiglio diventava organo dello Stato ed era dipendente dal Capo del Governo che ne sceglieva i componenti, ad eccezione di alcuni membri di diritto. Egli lo convocava e ne sceglieva l’ordine del giorno. Dapprima organo consultivo per materie politiche, economiche e sociali, il Gran Consiglio veniva sentito su questioni di carattere costituzionale.

Tra queste venivano enunciate quelle relative alla:

  • Successione al trono
  • Prerogative della Corona che venivano limitate per ciò che concerne la scelta del nuovo Capo di Governo.
  • La legge affidava al Consiglio la facoltà di formare e aggiornare una lista di nomi da presentare alla Corona limitando la facoltà regia di nominare e revocare i ministri.
  • Altre disposizioni riguardavano l’obbligatorietà della Corona di interpellare il Gran Consiglio sul funzionamento e sulla composizione delle camere, sui rapporti tra Chiesa e Stato e sull’ordinamento corporativo e sindacale e sui trattati internazionali. Ciò creava una scissione tra legislazione ordinaria e legislazione costituzionale, nettamente in contrasto con lo statuto.

Leggi Fascistissime e limiti dello Statuto Albertino

La costituzione flessibile non aveva previsto alcuna procedura speciale per l’emanazione di leggi formalmente e sostanzialmente costituzionali, prevedendo per normazione il classico iter legislativo.

Ora l’obbligo di sentire il Gran Consiglio creava una scissione nei due tipi di legislazione prevedendo una gerarchia delle fonti del diritto al vertice delle quali si ponevano alcune norme che dovevano essere discusse da un organo di partito che diveniva, di fatto, una suprema istituzione dello Stato.

Il sistema era totalmente stato alterato! La separazione dei poteri e la pluralità dei partiti venivano sostituite con un regime autoritario.

Si stabiliva il primario dell’esecutivo su tutti gli altri organi di stato. Le istituzione pubbliche avevano poteri limitati. La monarchia parve scossa dalla menomazione del suo prestigio, ma questo non allentò le pressioni del regime.

Il 14 dicembre del 29, con la legge 2099 il Gran Consiglio veniva costituzionalizzato.

Lo stato doveva assumere il Controllo del Partito imponendogli, per decreto, uno statuto proposto dal capo del Governo che manteneva il potere di nominare le cariche più importanti del fascismo.

Leggi Fascistissime: il Capo di Governo è Duce del Fascismo

Il Capo del Governo diventava Duce del Fascismo, riconoscendo il formale inserimento del Partito nello Stato. Più volte si è parlato di una totale subordinazione dello Stato nei confronti del partito. In realtà la costituzionalizzazione del Gran Consiglio, come precisa l’illustre Carlo Ghisalberti, testimoniava la volontà di fare del partito uno strumento di Stato mantenendolo alla costante dipendenza di questo.

In realtà l’atipicità dello status giuridico costituzionale, ben lontano dalla visione liberale, presentava caratteristiche che più volte, per via della confusione di organi e mansioni dopo il ’25, avevano lasciato intravedere una visione di subordinazione dello stato al partito.

L’idea mussoliniana di dittatura, fu elaborata anche da Rocco, Volpe e Gentile: essi vedevano lo status dell’epoca come una normale evoluzione e perfezionamento dell’antico. Nell’esaltazione dello stato e nella sua mitizzazione prevaleva l’ordinamento statale sull’organizzazione partitica, considerata come il mezzo di rinnovamento in vista della compenetrazione della Società Nazionale nello stato stesso.

Per garantire al regime una convalida popolare Mussolini concepì un nuovo piano di legge elettorale con l’intento di fascistizzare la camera che sarebbe stata eletta in modo plebiscitario.

elezioni fasciste
La scheda elettorale per le elezioni del 1924 che consolidarono il potere di Benito Mussolini.

Sistema Elettorale al tempo delle leggi fascistissime

Nel ’25 Mussolini sembrava voler tornare a quel collegio uninominale che aveva caratterizzato la storia d’Italia nel ’48 e nel 1919. Si era trattato di una concessione illusoria presto revocata prima di trasformarla in realtà. Il 17 maggio del ’28, con la legge 1019 si rinnovò il modo di formazione della camera, adeguandolo al nuovo clima autoritario.

Il nuovo sistema affidava la proposta delle candidature (1000 nominativi in tutto) ai sindacati e alle altre organizzazioni espresse dal partito.

Tali candidature erano vagliate dal Gran Consiglio a cui spettava il potere di decisione.

Si formava una lista di 400 deputati designati da sottoporre all’elettorato con un collegio unico nazionale.

Gli elettori votavano con un SI o con un NO questa lista senza possibilità di modificare i nomi dei deputati. Dato la carenza di guarentigie liberali ciò implicava la non possibilità dell’elettorato delle scelte fatte dal gran consiglio. 

leggi fascistissime votazioni fascismo
La scheda elettorale per le elezioni del ’29. Il quesito: Approvate voi la lista dei deputati designati dal Gran Consiglio del Fascismo? SI o NO. 

La camera doveva diventare una camera “corporativa”. Tale camera era diversa da quella espressa dai partiti politici nello stato liberale (ricordo che per stato liberale si intende tutta la fase storica compresa tra l’Unità d’Italia e l’avvento del Fascismo. In realtà questo sistema corporativo, da molti ritenuto elemento caratterizzante del regime, stenterà parecchio ad introdursi nel tessuto.

Le elezioni del 24 marzo del ’29 approvarono il listone con l’89,9% dei voti. Il successo era sicuramente dovuto alla tecnica elettorale che non poneva alternative e al clima di autoritarismo che non permetteva alle opposizioni di poter effettivamente propagandare le proprie istanze.

Leggi Fascistissime: come reagì la popolazione?

Vasti strati della popolazione avevano ormai aderito al sistema. Lo scontato risultato offriva al regime quella sanatoria formale necessaria dopo il delitto Matteotti e l’Aventino. Ciò spazzava via gli ultimi residui di quella opposizione liberale che nell’ultimo biennio aveva avuto modo di fare sentire ancora la propria voce.

Leggi del Fascismo e Pensiero di Giolitti

Nel 1928 Giolitti, nella scelta della nuova riforma elettorale, parlerà di un

“netto distacco del regime fascista da quello retto nello statuto”.

Mussolini avrebbe voluto comportarsi allo stesso modo col Senato, ma i legami dei senatori con la Corona e la minore risonanza dei suoi dibattiti nella pubblica opinione gli apparvero motivi validi per non tentare operazioni simili.

Si dovette a questo l’aumentare del dissenso dopo i Patti Leteranensi che segnavano la fine della laica tradizione risorgimentale e liberale. Tali patti avevano lo scopo di consolidare le basi del potere e di ottenere il consenso delle masse cattoliche.

Si interrompeva la linea separatista contenuta nelle leggi Siccardi espresse dal diritto ecclesiastico italiano. Il Concordato e il Trattato con la Santa Sede riportavano in auge quell’articolo 1 dello statuto ove si asseriva che

quella cattolica è la religione di Stato.

Ponendo fine alla legge delle guarentigie mai accettata dal Vaticano, Mussolini si propose di giungere ad una saldatura definitiva tra società civile e stato. Rimuovendo gli ostacoli per l’adesione delle masse cattoliche allo stato, egli voleva semplicemente espandere il proprio consenso facendo del regime fascista un regime totalitario. 

Patti Lateranensi: a cosa serviva la riconciliazione dello Stato con la Chiesa ai tempi del Fascismo?

La conciliazione con la chiesa servì a consolidare la dittatura fascista ma non riuscì a trasformarsi in altrettanti strumenti per la costruzione di un regime totalitario:

  • L’introduzione dell’insegnamento della religione impartito in tutte le scuole statali
  • l’esistenza di associazione direttamente dipendenti dalla santa sede (come Azione Cattolica)
  • la rinuncia dello Stato a disciplinare il diritto matrimoniale

finirono col costruire remore verso quella integrale disciplina considerata essenza del totalitarismo. 

Fascismo e Chiesa

Leggi Fascistissime: ll sistema corporativo

L’effettiva base del totalitarismo, e quindi dell’incontro tra Stato e società civile, ripose nel sistema corporativo. Il regime voleva disciplinare la vita economica e sociale eliminando i contrasti di classe, regolando il lavoro e sottoponendo alla guida dello Stato ogni attività di produzione e di scambio in vista di un interesse collettivo considerato primario rispetto a quello di persone o gruppi.

Considerato come lo strumento di rappresentanza degli interessi per creare una democrazia sindacale protetta dalla legge, il sistema doveva trasformarsi in un ulteriore strumento di totalitarismo.

La completa organizzazione delle forze della produzione e dello scambio avrebbe consentito allo stato la regolamentazione di ogni attività svolta dalla società civile ricoprendo un ruolo egemone su questa. L’introduzione del sistema corporativo, esaltata all’epoca come soluzione a tutti i problemi sociali, avrebbe favorito la collaborazione tra capitale e lavoro eliminando la lotta di classe; ma essa non fu attuata in modo lineare.

La Seconda legge Fascistissima

Nel 1926 si disciplinavano i rapporti di lavoro. Con questa legge fascistissima si codificava il divieto di sciopero e di serrata, in atto dopo il Lodo di Palazzo Vidoni.

Ciò favoriva la posizione del patronato ai danni dei lavoratori per il maggiore potere contrattuale del primo rispetto ai secondi. Istituiva una Magistratura del Lavoro allo scopo di dirimere le controversie sindacali e affidava ai sindacati fascisti la capacità di stipulare contratti collettivi di lavoro validi erga omnes. Le corporazioni venivano configurate come organi centrali di collegamento tra le associazioni sindacali dei datori e quelli dei prestatori di lavoro, abbandonando l’originale significato della parola corporazione usata, finora, come sindacato.

Nel 1927 si ribadisce il carattere pubblicistico delle corporazioni confermando anche al sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto a controllo statale di potere di rappresentare l’intera categoria:

  • di contrattare e stipulare accordi sindacali
  • di imporre contributi a tutti gli appartenenti alla categoria.

Il Sindacato Fascista

Il sindacato fascista non era rappresentativo. Le corporazioni esprimevano solo uno strumento dell’azione amministrativa per il controllo della produzione e del lavoro necessari al regime per compiere il totalitarismo. Il sistema corporativo si fondava:

  • sulla forza coattiva del potere desideroso di evitare scontri sociali
  • sulla capacità di mediare tra gli opposti interessi del patronato e dei lavoratori in base a quelle ragioni economiche che da sempre avevano determinato l’andamento dell’attività produttiva.

Nel ’26 si istituisce il Ministero delle Corporazioni dando all’intera attività produttiva un volto del tutto nuovo. Le corporazioni stentarono ad introdursi nell’ordinamento per gli ostacoli frapposti dalla tradizionale organizzazione statale e per la differenza con la quale erano suddivise dalle categorie che in esse avrebbero dovuto essere irregimentate.

Il Consiglio delle Corporazioni

  • il Consiglio delle Corporazioni, istituito nel 1930 col compito di coordinare le rappresentanze professionali finiva con l’apparire privo di ogni funzione operativa
  • il Comitato Corporativo Centrale appariva meno ampio e rappresentativo del primo.

Nel 1934 parve completarsi l’edificio corporativo, ormai snaturato rispetto all’antico disegno fascista. Le corporazioni, circondate dalla diffidenza della burocrazia amministrativa e priva di autonomia nei confronti del potere, apparvero scarsamente funzionali anche come rappresentanza delle categorie sindacali. 

Il Plebiscito del 1934

Il 25 marzo del 1934 si svolse il secondo plebiscito del regime per rinnovare la Camera Elettiva. Il successo del fascismo aumentò. I voti favorevoli salirono al 94,5%. Mancando partiti e sindacati, soppresse le libertà politiche, e per via di una capillare propaganda la stessa repressione poliziesca appariva superflua. Il fascismo continuava però a sentire l’esigenza di indire le elezioni, per consolidare ancora di più quell’adesione della società al regime che non riusciva ad essere ancora totale per via della resistenza, ormai passiva, di alcuni gruppi.

Leggi Fascistissime: il Tribunale Speciale Fascista

tribunale fascista militare
Il Duce in uniforme riceve i componenti del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato. Intorno all’imponente tavolo al centro della sala, il Duce posa accanto al Presidente Cristini e ad Alfredo Rocco. Tutto intorno rappresentati dell’esercito e delle forze armate.

Uno degli strumenti di repressione era il Tribunale Speciale per la difesa dello Stato istituito nel ’26 dapprima con carattere temporaneo e trasformato in organo definitivo con competenza a giudicare una serie importante di delitti politici.

Nel 1931 alla polizia fu dato, mediante il TULPS, la possibilità di prevenire tutta una serie di comportamenti considerati ostili al regime. Ammonizione e confino rappresentavano le misure tipiche del sistema affiancando le classiche amministrative.

Tra queste la revoca di pubblici funzionari e professori universitari che si fossero rifiutati di giurare fedeltà al regime. Nel 1930 entra in vigore il codice Rocco che introduce la

previsione e la repressione di reati di associazione e di propaganda antinazionale e sovversiva.

Pena di Morte al tempo del fascismo

Il sistema punitivo era estremamente duro e introduceva anche la pena di morte (ricomparsa nel nostro ordinamento nel 1926 dopo che il codice Zanardelli l’aveva soppressa). La Pena di Morte ai tempi del fascismo era prevista come punizione per attentati alla persona del Re o del Capo del Governo, e per altri reati contro lo stato. C’è da dire, però, che il codice di procedura penale aveva abolito le giurie popolari e le guarentigie a difesa nel processo estendendo i poteri dell’accusa. 

In un simile contesto la magistratura, nella sua parvenza di autonomia, pareva essere esente dal processo di fascistizzazione. In realtà i giudici, legati ad una interpretazione normativistica e formalistica del diritto, avevano scarso margine d’azione per sottrarsi all’orientamento del potere. Ora più di allora, quando il governo incideva sulla magistratura grazie al ministero di Grazia e Giustizia: 

  • ne controllava le prospettive di carriera
  • ne condizionava l’attività inquirente.

La vasta competenza del Tribunale Speciale per la difesa dello stato impedivano alla magistratura di incidere su un quadro più dichiaratamente politico. 

Con un simile apparato, il regime ottenne il plebiscito nel 1934. I successi sul piano internazionale, culminati con la guerra de’Etiopia, conclusasi con la proclamazione dell’impero nel 1936, favorirono ulteriormente il regime. 

L’Impero d’Italia e la soppressione della Camera dei Deputati

Il consenso per l’impresa di Etiopia e la volontà di approfittare del largo consenso, portarono Mussolini, con la legge 129 del 1939 (19 gennaio) a sopprimere la Camera dei Deputati che fu sostituita con la Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Nel ’29 e nel ’34 la Camera aveva mantenuto pur sempre un carattere rappresentativo.

L’elettorato doveva comunque convalidare il listone. Ora i rappresentanti erano nominati ope legis (per forza di legge) tra chi rivestiva nel partito e nelle corporazioni un ruolo importante: consigliere nazionale era l’appellativo.  Priva di rappresentatività la nuova Camera dei Fasci si distingueva per la perpetuità della sua durata, dato che la legislatura non era più destinata a scadere.

I consiglieri decadevano solo quando abbandonavano o perdevano il diritto di appartenere a quell’Assemblea. Il Parlamento era esautorato. Tutti i funzionari erano dipendenti dal Capo del Governo che li aveva destinati a ricoprire quel ruolo. Il Capo del Governo poteva revocarli in qualunque momento, stroncando ogni eventuale dissenso. Mussolini aveva epurato il Senato dai vecchi esponenti liberali, da tempo ridotti al silenzio. Il Senato era ora formato solo da uomini fedeli al potere.

L’effetto delle Leggi Fascistissime

A partire dal 1925, sul piano funzionale, tutta l’attività di governo risultò essere condizionata. L’ordine del giorno era determinato dal Capo del Governo che ora si arrogava il compito di distribuire discrezionalmente il lavoro legislativo tra le due Camere e le Commissioni composte da un limitato gruppo di parlamentari competenti per materie. Anche sul piano della dinamica interna il governo assumeva un ruolo definitivo di pieno controllo.

Le commissioni erano meno soggette all’adulazione retorica del potere ma veniva accentuato in misura rilevante quel carattere subordinato assunto dal Parlamento nei confronti dell’esecutivo. Il Capo del Governo poteva affidare ad esse l’esame e l’approvazione, in piena sostituzione della discussione parlamentare, di qualsiasi proposta di legge.

Effetto Leggi Fascistissime dittatura
Da sinistra: Benito Mussolini, Adolf Hitler e il Re Vittorio Emanuele III

Il Parlamento come organo consultivo ai tempi del fascismo

Il Parlamento ormai era un organo di semplice consulenza normativa, privato della funziona consultiva che ormai spettava al Gran Consiglio del Fascismo. Il distacco tra il 1861 e quegli anni non poteva essere più ampio. La prevalente dottrina giudica del tempo si sforzò di mostrare la continuità tra il vecchio ordinamento liberale e il nuovo regime dittatoriale. 

Legislazione Fascista: la scienza giuridica del tempo giustificava il fascismo

La scienza del diritto dell’epoca dimostrò che l’avvento del regime non aveva implicato la fine dell’ordinamento statutario. Il dittatore, la fine delle guarentigie e il partito unico furono giustificate esaltando quell’incontro tra stato e società civile invano ricercato sotto l’età liberale.

Il tutto era facilitato da:

  • miti nazionalisti e populisti
  • dal culto della personalità.

Il sistema carlo albertiniano, fondato sulla flessibilità della Costituzione (ossia modificabile dal Parlamento con semplici leggi ordinarie) permetteva anche la reformatio in pejus di se medesimo (la possibilità di riformare anche lei stessa).

La flessibilità della carta ottriata nel ’48 aveva potuto servire alla costruzione dello stato fascista dando una base per la giustificazione dello stesso. L’articolo 2 dello statuto prevedeva che la forma di stato monarchico rappresentativa pareva apparire un ostacolo per coloro che si sforzavano di giustificare il regime.

  • In una prima fase si era introdotto uno stato monarchico retto a regime costituzionale,
  • in una seconda fase era stato introdotto un regime parlamentare fondato su una diversa interpretazione dello statuto per giungere,
  • infine, al totalitarismo dove la rappresentatività era garantita dal Partito e dalle Corporazioni. 

I giuristi parlarono di rappresentanza politica diretta, attuata nelle forme plebiscitarie, che presupponeva l’organizzazione della nazione come corpo elettorale e che sottintendeva la sua totale integrazione negli schemi dello stato.

Si sostenne che questa rappresentanza aveva un contenuto più sostanziale di quella dell’epoca liberale. Si disse che la rappresentanza dell’ideologia fascista era istituzionale e basata sulla riferibilità alla nazione degli atti compiuti dal potere in nome e per conto di essa. La posizione dell’esecutivo era giustificata dalla scienza giuridica che definiva l’ordinamento italiano come il regime del Capo del Governo.

Le Leggi Fascistissime portano al ridimensionamento delle prerogative del Re

Da qui il ridimensionamento delle prerogative regie conseguente all’incremento dei poteri del Capo del Governo, vertice del sistema e simbolo del potere. Il re:

  • Disponeva di un potere formale di nomina e revoca dei ministri.
  • Non disponeva di nessuna possibilità di indirizzo politico, né di controllo delle forze armate, passate alla dipendenza del capo del governo.
  • Ne assumeva il comando in tempo di guerra.
  • Poteva solo nominare il capo del governo su proposta del Gran Consiglio del Fascismo.
fascismo vittorio emanuele III
Il Re, Imperatore e Maresciallo d’Italia

La dittatura trovava argomenti a suo favore. Scarsissime apparivano le posizioni di giuristi che salvaguardassero i principi garantisti dello statuto. Le valutazioni di qualche giurista che vedeva uno stato di diritto ossequiante alla legge fino col diffondere l’idea che la dittatura fosse perfettamente rispondente con dei canoni di legalità oltre che pienamente collegati con lo sviluppo storico e istituzionale del paese. Pubblicisti di alto livello, come Santi Romano, aderirono al regime offrendo ad esso pieno appoggio e rivedendo le precedenti posizioni più liberiste e ispirate ai modelli anglosassoni.

Alcuni costituzionalisti si sottrassero al conformismo dell’epoca preparando quelle basi culturali che, al termine della guerra, diedero il via al dibattito sull’effettivo valore e contenuto del costituzionalismo moderno. La scienza giuridica del ventennio fascista fu, in sostanza, di supporto al potere. 

Fonti

  • Carlo Ghisalberti, Storia costituzionale d’Italia, Laterza, 1974 (ed. 2002)
  • Carlo Ghisalberti, Unità nazionale e unificazione giuridica in Italia, 2007, Laterza

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